Il nostro impegno per lo sviluppo del territorio passa anche attraverso il desiderio di rendere sempre più interconnesse culture e persone. Lo fa alla perfezione Carola Del Pizzo, dottoranda in Filosofia e specializzata in Estetica. Con il suo collettivo Exo Art Lab, insieme alle colleghe Elena Abbate e Marta Blanchietti porta arte e filosofia in giro per l’Italia e il mondo. Il collettivo, nato quasi per caso, ha all’attivo numerose mostre collettive e personali di artisti internazionali e lavora soprattutto sulle città di Torino e Venezia.
«Un artista riesce a far passare il suo messaggio quando abbraccia completamente il messaggio che vuole lanciare, la sua poetica, in qualche modo la sua posizione filosofica». Ecco il legame tra arte e filosofia che per Carola guida ogni scelta di carriera e ogni iniziativa del collettivo. Lei stessa si definisce dottoressa dell’anima – in contrapposizione ai genitori, che chiama dottori del corpo. E parlando con lei è facile vederla in questa veste: è una persona in grado di creare una connessione immediata ed empatica con gli altri. Grazie a questa connessione può capire il messaggio dell’artista (anche quando non lo condivide) e quindi lo traduce nella sua opera di curatrice artistica.
Carola, raccontaci come nasce la tua carriera che unisce arte e filosofia.
Tutto è iniziato da un bando di concorso a cui ho partecipato con un’amica, da neolaureate senza esperienza. Abbiamo trovato una galleria di Torino a cui proporre la nostra idea su una mostra chiamata “Peri-phero“, dedicata ai margini. Margini intesi come spazi liminali tra i luoghi ma anche all’interno dello spirito. La prima opera è arrivata da un incontro fortuito tra me ed Elmira Albolhasani, artista iraniana del vetro. La sua scultura con minuscole mani di vetro che si protendono dalla superficie (che rappresentano gli artisti afghani di etnia hazāra in cerca di aiuto per uscire dal Paese in guerra) è stata anche la nostra prima vendita.
In quella prima mostra ci siamo improvvisate tutto: curatrici, scrittrici, esperte in PR, perfino restauratrici d’arte. Nel frattempo scoprivamo quanto fosse bello per noi portare in Italia le opere di artisti internazionali (in Peri-phero sono state esibite opere di Shirin Abedinirad, Elmira Albolhasani, Alessio Degani e Isabel Rodriguez Ramos). Non solo: abbiamo scoperto la possibilità di espandere il concetto della mostra. Attorno all’evento principale abbiamo raccolto eventi collaterali legati all’etnia hazāra, riunendo la comunità presente a Torino e mostrando l’arte e la cultura di questo popolo ai visitatori.
Qual è stato il passo successivo?
Poco dopo è arrivata la mostra “Emersioni” che nasce dal concetto dell’acqua e poi abbraccia questo termine in modo più ampio. Svolta all’interno di una chiesa, ci ha permesso di esporre opere che rappresentano il movimento acquatico e lo slancio umano verso il divino, uno dei principali movimenti presenti in arte e filosofia dalla notte dei tempi.
Attraverso una pluralità di voci e di linguaggi artistici, abbiamo potuto raccontare questo concetto artistico e filosofico secondo prospettive diverse, con il messaggio unico di ogni partecipante. Allo stesso tempo, ciò che mi ha fatta avvicinare di più alla curatelia artistica è stata proprio la sfida di trovare un fil rouge, un elemento che collegasse opere diverse tra loro in un’unica storia. Questo è il cuore del mio lavoro.
Ecco, a proposito di sfide: qual è stata la più importante finora?
Una delle sfide più importanti per me è stata accettare di dover chiedere. Sono sempre stata una persona molto riservata, anche se non si direbbe dalle mie esperienze di public speaking. Quindi il rapporto con le gallerie, con gli sponsor, con i luoghi che hanno ospitato i nostri artisti, soprattutto all’inizio, è stato diffiicile.
Per superarlo ho dovuto credere tantissimo nel messaggio che voglio mandare, che spesso non mi appartiene ma mi viene affidato dagli artisti. Questa per me è la sfida più grande: proteggere e custodire il messaggio, la vocazione, il “mondo” di qualcun altro e renderlo fruibile. Mi ha aiutato molto il rapporto con persone che si sono fidate e affidate a me e alle mie socie.
Forse puoi definirti “dottoressa dell’anima” proprio per questa tua capacità di entrare in contatto con gli altri.
Penso che sia la cosa più importante nel mio lavoro e in generale nella vita: scoprire qual è la nostra vocazione e proteggerla, anche quando significa andare contro la strada battuta da altri. Nel mio caso forse sì, venendo da una famiglia di dottori sono diventata un po’ “dottoressa dell’anima“. La mia fortuna è stata anche incontrare persone che hanno capito il legame tra arte e filosofia e hanno appoggiato i miei progetti.
Non sarei mai riuscita a creare Exo Art Lab senza l’aiuto delle mie colleghe che si occupano della parte burocratica e dei bandi, per esempio. E insieme non avremmo potuto creare quello che abbiamo fatto senza la connessione con gli artisti, che ci hanno appunto affidato i loro messaggi. Prendo molto sul serio la responsabilità di proteggerli, renderli fruibili, tradurli per il pubblico.
Parliamo dell’ultima mostra, che ha un forte legame anche con l’attualità.
Si chiama “Let the Bād Speak“. In farsi “bād” significa vento, e abbiamo giocato con la sua lettura inglese che si tradurrebbe in “lasciamo parlare i cattivi”. La mostra racconta proprio le voci, il vento degli artisti afghani e iraniani. Quei messaggi che arrivavano ad Elvira per chiedere il visto di uscita da territori in guerra sono diventati il nostro sottofondo. Storie di chi ama l’arte e la filosofia ma le cui voci raramente ascoltiamo, proprio perché sono considerati “i cattivi”.
La mostra ha avuto un grandissimo successo e ha ispirato le personali dei sette artisti presenti, che stiamo organizzando cercando i luoghi più adatti ad accogliere la loro voce. In Italia e all’estero, abbiamo intenzione di portare questi messaggi dove saranno ascoltati e accolti come desideriamo.
Sappiamo che hai anche un altro progetto in cantiere, che ha sempre a che fare con arte e filosofia…
Sì, si tratta di Love Gardens, il progetto artistico e di riqualificazione del territorio ideato proprio dal fondatore di Sfide Trasformate. La nostra è ormai una community di persone che desiderano portare qualcosa di nuovo al territorio, mescolando la meraviglia dei prodotti agricoli, con spazi artistici e gioco nella natura. Sono felice di poterlo curare.
Non vedo l’ora di ammirare il progetto realizzato, con la collaborazione di designer, architetti e architette, professionisti e professioniste della botanica, dell’arte e dell’agricoltura. Possiamo creare un luogo davvero unico che ospiterà gli amanti della natura e dell’arte in uno scenario esclusivo e avvolgente.
Un’ultima domanda che facciamo sempre: cosa desideri che impari chi legge questa intervista?
Forse quello a cui accennavo prima: trovare il proprio messaggio, la propria vocazione e proteggerla. Non difenderlo, che è un termine un po’ guerrigliero che non mi rispecchia, ma proteggerlo come parte della propria anima. E senza pensare che solo arte, filosofia, religione siano delle vocazioni.
Conosco la cassiera di un supermercato che è evidentemente nata per fare quel lavoro, per accogliere i clienti e fare quattro chiacchiere con loro mentre svolgono un’incombenza quotidiana. Qualsiasi cosa che ci fa stare bene e fa stare bene gli altri può essere una vocazione, anche quando non sembra allinearsi con le aspettative della società.
Noi ringraziamo Carola per averci parlato di arte e filosofia, di vocazioni e del progetto su cui stiamo lavorando.
Seguiteci per leggere altre storie straordinarie di persone ordinarie che affrontano le sfide della vita con entusiasmo e determinazione!
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