Per noi di Sfide Trasformate, chi lavora per migliorare la situazione propria e della propria comunità è un eroe o un’eroina. Così abbiamo incontrato una persona che di disabilità e diritti vive e scrive, perché li vive in prima persona e perché desidera migliorare un territorio particolare come quello della Sicilia.
Patrizia Gariffo è una scrittrice e giornalista. Su “La Repubblica” scrive di disabilità e diritti, con particolare attenzione alla situazione in Sicilia. Ha pubblicato due romanzi: Messi vicini per caso (2017) e Ogni cosa torna (2020). Un nuovo romanzo è in cantiere e pronto per la pubblicazione. La intervistiamo per scoprire come la scrittura possa essere un ponte tra persone che non vivono le stesse situazioni.
Ciao Patrizia! Partiamo dal principio: dici che scrivere non è sempre stato il tuo sogno, eppure hai una laurea in Lettere Classiche, lavori come giornalista, hai scritto due romanzi e partecipato ad antologie. Sei sicura che non fosse nel tuo subconscio da sempre?
In realtà, da bambina sognavo di fare la giornalista. Ricordo che costringevo i miei genitori ad ascoltare il mio finto telegiornale, ma poi non ho più avuto questo desiderio. Ho frequentato Lettere classiche ma, se la mia condizione me l’avesse permesso, avrei studiato Scienze biologiche. Così, mi sono iscritta alla facoltà di Lettere classiche un po’ per ripiego e un po’ per continuare gli studi che avevo appena concluso. Naturalmente, questo percorso
mi ha appassionata ma, terminati i quattro anni dell’università, non avevo alcuna intenzione di fare l’insegnante.
Allora, mi sono tornate in mente le parole del mio professore di Italiano
del liceo: Hai una scrittura giornalistica. Così, ho capito che questa era la mia strada. Quindi, è successo tutto per caso perché, se avessi potuto realizzare il mio sogno, non avrei scoperto la mia vera passione, ciò che so fare meglio: scrivere.
Disabilità e diritti sono l’argomento principale di cui ti occupi come giornalista. Credi che vivere in prima persona certe situazioni ti dia uno sguardo più attento su diritti e discriminazioni?
Certamente sì, perché molte cose che racconto le vivo sulla mia pelle e, quindi, non ne parlo per sentito dire. Dall’altro lato, però, mi rendo conto che, proprio perché so di cosa parlo, a volte, mi arrabbio troppo e questo non è professionale. Quindi, devo prendere le distanze da ciò scrivo.
Da quando hai iniziato a scrivere su La Repubblica, qual è l’obiettivo più bello che senti di aver raggiunto, una battaglia di disabilità e diritti che ti sta particolarmente a cuore e che hai portato alla luce sul giornale?
Raccontare storie di disabilità, spesso, è frustrante perché per una vicenda con un finale positivo ce ne sono dieci che finiscono male. In molte occasioni mi sembra di scrivere sempre le stesse cose, i problemi si ripresentano sempre uguali e restano senza soluzione. A volte, però, qualcosa cambia, una difficoltà si appiana, un diritto viene garantito, una battaglia, durata anni, si vince e, ritorna l’entusiasmo di raccontare le storie di chi, nonostante tutto e tutti, non si è arreso. E, quando succede, anche grazie al mio lavoro sono
felice.
Così è stato per una bambina gravemente disabile che è riuscita a fare la Prima Comunione. Le era sempre stata negata perché non può deglutire e si nutre tramite peg e, quindi, non può prendere l’Ostia Consacrata in modo tradizionale. Dopo tanti articoli scritti su “Repubblica” e grazie alla determinazione della madre, ha fatto la Prima Comunione.
Oppure quando, dopo una battaglia durata anni e tanti articoli, siamo riusciti ad accendere i riflettori sull’organizzazione dei concerti a Palermo. Nessuno si preoccupava degli spettatori con disabilità che, pur pagando un biglietto come tutti, erano collocati in posti in cui la visuale era pessima e la sicurezza nulla. Adesso, qualcosa è cambiata. Episodi come questi fanno dimenticare la frustrazione.
Parliamo invece dei romanzi. Da dove arriva l’ispirazione per le tue storie?
L’ispirazione può arrivare da ogni cosa e non è mai fantasia, ciò che non esiste, ma immaginazione, ciò che è dentro di noi e trova la strada per uscire grazie a un luogo, un oggetto, una parola, un suono, un odore, un colore, una canzone. E l’ispirazione per scrivere il mio primo romanzo è nata grazie ad una canzone di Pino Daniele, “Resta…resta cu’ mme’”, e un suo verso gli ha dato il titolo “Messi vicini per caso”. Per il seguito di “Ogni cosa torna” è nata grazie a un luogo in cui mi rilasso e mi ricarico: San Vito Lo Capo, il luogo delle mie vacanze al mare da quando ero bambina.
Però, è bene precisare una cosa: le illuminazioni possono esserci, ma queste devono essere agevolate da qualcosa che facciamo, vediamo, sentiamo. Quindi, l’ispirazione è sempre legata alla dimensione del fare qualcosa. Non arriverà stando seduti o a letto guardando il soffitto, insomma.
Sappiamo che hai da poco partecipato all’antologia “Ritratti di donne 2”, scrivendo la storia di Rosemary Kennedy. Ci racconti qualcosa su questa iniziativa?
“Ritratti di donne 2” è un’antologia curata da Sara Rattaro ed edita da Morellini Editore. Insieme alle altre autrici di “Ritratti di donne 2” abbiamo scritto di 27 donne straordinarie che, anche quando sono state vittime, con le loro storie hanno cambiato il mondo. E quella che ho scelto di raccontare io, purtroppo, è stata una vittima, vittima del padre e del suo prestigioso cognome. Una vittima che, però, è stata capace, suo malgrado, di far accendere i riflettori sulla disabilità e ha fatto da sprone affinché nascessero leggi e iniziative a favore delle persone con disabilità, negli Stati Uniti e nel mondo.
Una raccolta di biografie di 27 donne raccontate attraverso un episodio significativo della loro vita. Rosemary Kennedy è stata sottoposta a un intervento di lobotomia frontale per guarire un leggero deficit cognitivo, ma l’intervento fu devastante perché ne uscì gravemente disabile nel corpo e nella mente. I racconti di “Ritratti di donne 2” sono storie di empowerment femminile e servono più che mai, soprattutto adesso. Inoltre, l’equivalente dei diritti d’autore sarà devoluto ad AIRETT, associazione che da più di 30 anni, finanzia la ricerca sulla Sindrome di Rett.
Nella tua vita di donna, di giornalista e di scrittrice, qual è stata la sfida più importante da superare e cosa ti ha aiutata a gestirla?
Ogni parte di queste 3 vite ha avuto delle sfide, ovviamente. Alcune le ho vinte, altre le ho aggirate, alcune le ho perse. Mi ha aiutato una convinzione ereditata da Rossella O’Hara, protagonista di Via col vento, che, davanti all’ennesima tragedia della sua vita, ha detto Dopotutto, domani è un altro giorno. Anche io penso, che tutto possa cambiare e migliorare. Così, se oggi è nero, domani può’ essere grigio e dopodomani bianco.
Visto il tuo profondo legame con la Sicilia, cosa pensi che abbia fatto questa terra per supportare il tuo percorso?
Non troppo, sinceramente. Questo, però, non vuol dire che non ami la mia terra o che andrei a vivere altrove, ma bisogna essere obiettivi: soprattutto per chi ha una disabilità vivere in Sicilia non è facile.
Un’ultima domanda a cui teniamo particolarmente: cosa vorresti che imparasse chi legge la tua intervista su disabilità e diritti?
Non credo di poter insegnare qualcosa, io ho fatto il mio percorso e se ha ispirato qualcuno o lo ha aiutato in un momento particolare della sua vita, sono felice. Vorrei solo che chi leggerà questa intervista, capisca che anche quando apparentemente le carte che abbiamo non sono buone, bisogna giocare con intelligenza e impegno perché si può anche vincere. Alcune volte, io ho vinto.
Ringraziamo Patrizia Gariffo per aver chiacchierato con noi su disabilità e diritti, scrittura e ispirazione.
Seguiteci per leggere altre storie straordinarie di persone ordinarie che affrontano le sfide della vita con entusiasmo e determinazione.
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