Nel nostro impegno continuo di raccontarvi storie di persone straordinarie, abbiamo incontrato Anna Rastello. Una persona che ha imparato sulla propria pelle cosa significhi la differenza tra curare e prendersi cura, e che si è chiesta per prima cosa fare per promuovere l’inclusione in modo concreto. La nostra ricerca di comunità e individui che sappiano cosa sono l’integrazione e l’inclusione parte da qui. Vi raccontiamo con gioia la sua Sfida Trasformata.
Anna si è trovata ad affrontare questa questione in quanto madre di una ragazza, Marcella, che dopo un incidente in auto è rimasta tetraparetica. La particolarità dell’incidente ha però qualcosa di straordinario. Il giorno dell’incidente, Marcella è volata giù da un viadotto e nessuno riusciva a trovarla. Tra medici, forze dell’ordine e volontari, la mamma si è trovata a pensare «Se la trovano, prometto che vado a Lourdes». Solo quando ha aggiunto «prometto che vado a Lourdes a piedi», la ragazza è stata trovata. Nasce così Il cammino di Marcella, una storia di cammini e di rinascite, di comunità e soprattutto di profonda riflessione su cosa fare per promuovere l’inclusione delle persone disabili.
Anna, raccontaci: come è venuta l’idea del cammino?
Dopo il ritrovamento di Marcella, sono passati alcuni anni. Nel frattempo ho accolto in affido altri ragazzi con disabilità. Così Il cammino di Marcella, da una cosa personale (solo io e il mio zaino), è diventato un cammino comunitario per cercare un nuovo sguardo sulla disabilità. Un modo per capire cosa fare per promuovere l’inclusione non a parole, ma nella concretezza. L’ho aperto a tutti quelli che volevano condividere con noi anche solo qualche passo.
Abbiamo scelto di fermarci tutti i pomeriggi per parlare con il Sindaco e l’amministrazione del comune in cui ci trovavamo per chiedere un piccolo impegno nel cambiare lo sguardo verso la disabilità. Abbiamo raccolto centinaia di esperienze, non solo di amministratori ma anche di associazioni di attività sportive e culturali per persone con disabilità e di persone disabili. Il nostro viaggio è partito da Sarzana, all’estremità della Liguria, abbiamo attraversato la Francia verso Lourdes per poi arrivare fino a Col du Somport, la tappa iniziale del Cammino di Santiago.
Anche all’estero avete chiesto cosa fare per promuovere l’inclusione?
Sì, anche se siamo partiti da un piccolo obiettivo. Chiedere ai Sindaci di tutti i comuni italiani di aggiungere al sito web del Comune una pagina per le attività culturali o sportive a cui potessero partecipare le persone disabili. Una cosa veramente da nulla: io lavoravo nell’informatica e sapevo che sarebbe stata una cosa semplice e a poco costo. Almeno l’80% delle amministrazioni con cui abbiamo parlato lo ha fatto.
Attraversato il confine, abbiamo cominciato anche a chiedere in Francia cosa fare per promuovere l’inclusione, quali fossero i passi già messi in atto in un Paese che sapevo essere più avanti dell’Italia su questo fronte. Infatti in Francia si parlava già di iperdotazione cognitiva, argomento di cui in Italia si è cominciato a parlare solo nel 2018. Abbiamo ricevuto molti spunti su cosa fare per promuovere l’inclusione a tutti i livelli.
Dal 2011 ad oggi hai visto cambiare qualcosa? C’è maggiore attenzione nel cosa fare per promuovere l’inclusione?
Sicuramente la situazione è cambiata molto anche se sono presenti ancora grandi stimgatizzazioni. Il mio obiettivo è quello di cambiare lo sguardo sulla disabilità, anche da parte delle stesse persone che la vivono. Vorrei che la considerassero una parte di sé stesse, non necessariamente la principale o la più importante. Mi è capitato di dover descrivere mia figlia a uno sconosciuto e ho pensato a dirgli il colore dei capelli, degli occhi, che maglietta indossava, prima di aggiungere che fosse in sedia a rotelle.
Quello che cerco di fare con l’associazione La Locanda delle Idee e con i cammini che organizzo, infatti, è creare attività aperte a tutti. Non cammini o attività culturali per persone disabili, ma in cui tutti siano benvenuti e possano sentirsi accolti. Per me questa è la vera inclusione. Ed è la differenza tra integrazione e inclusione che non tutti conoscono.
So che, oltre a portare avanti i cammini e le attività dell’associazione, hai anche scritto dei libri. Questo ti avrà messa in contatto con altri caregiver. Cosa hai colto dall’interazione con loro?
Sì, ho incontrato e conosciuto molti caregiver e soprattutto genitori di persone con disabilità. Quello che ho capito è che molti non sanno cosa fare per promuovere l’inclusione perché sono i primi a mettere i figli sotto una campana di vetro. C’è una grande differenza tra curare e prendersi cura di una persona con disabilità (che sia fisica o intellettiva).
Per me prendersi cura significa assicurarsi che le persone con disabilità abbiano accesso a tutti i luoghi e a tutti i servizi e le attività possibili. Ma sostanzialmente vanno lasciate libere. Solo così possiamo davvero evitare la stigmatizzazione della disabilità: lasciando le persone libere di prendere le loro decisioni e creare il loro percorso di vita, senza pretendere di sapere cosa sia meglio per loro.
Qual è stata la tua più grande Sfida Trasformata?
Proprio cambiare lo sguardo verso la disabilità, che è una sfida ancora in corso. Per esempio, se tu partecipi a un’associazione sulla tua malattia cronica, questo non vuol dire che tu non possa partecipare a gruppi o associazioni culturali aperte a tutti. Vorrei che questo messaggio passasse sia a chi vive con una disabilità sia ai caregiver: la disabilità è solo una delle tante caratteristiche della persona.
Non è facile cambiare lo sguardo degli altri su queste tematiche, anche se molto è stato fatto in questi anni. Di certo aiuta il fatto che in questi ultimi tempi siano state le persone con disabilità a prendere in mano la narrazione delle proprie vite e dei propri bisogni, anche nella sfera dell’indipendenza.
Ti lasciamo con un’ultima domanda: cosa vorresti che imparasse chi legge la tua intervista?
Spero che capiscano che ci sono ancora tante cose da fare per promuovere l’inclusione e che possiamo farle sia nel nostro piccolo che coinvolgendo le istituzioni. I nostri cammini sono sempre aperti a tutti, e vorrei che partecipassero anche solo per qualche passo. È un modo prezioso per ascoltare le esperienze altrui e scambiare opinioni e racconti di vita.
Ringraziamo Anna per averci raccontato cosa fare per promuovere l’inclusione a livello concreto.
Seguiteci per leggere altre storie straordinarie di persone ordinarie che affrontano le sfide della vita con entusiasmo e determinazione!
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